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Infanzia Negata

Palazzo Lombardia

Milano

16 novembre – 1 dicembre 2017

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Il titolo della mostra fotografica non necessita grandi spiegazioni. Le foto parlano da sole. Merita qualche nota in più il motivo di questa scelta.

Nel 1994, dopo un periodo di malattia durato qualche mese mi fu diagnosticato un cancro.

“… il cancro la malattia che non bussa prima di entrare; è il cancro che copre il ruolo della malattia
vista come invasione spietata e segreta …”

Susan Sontag – Malattia come metafora

Iniziai un calvario di 8 mesi in ospedale dove fui sottoposto a cicli di chemio e radio terapia.

Il mio corpo subii una serie di trasformazioni dovute a quei veleni chimici che mi aiutarono ad uccidere una parte di me che si ribellava e che voleva vivere di motu proprio. Che voleva espandersi e ramificarsi nel mio corpo. Che ne voleva prendere il controllo e annientarmi, fino ad uccidermi.

​Ma la mia voglia di vivere, di non soccombere alla malattia, coadiuvata da ottimi medici, fece si che la battaglia contro il cancro mi vide vincitore.

L’unico problema che mi porto dietro, a seguito della chemio e radio terapia, è che, purtroppo, non potrò mai più avere figli. E da questi 2 motivi, il cancro e l’impossibilità di avere figli, nasce la mia idea di fare del volontariato proprio per i bambini affetti da tumore o che vivono per strada.

Ospedalizzazione
Nel giugno del 2015, vado in Russia, specificatamente a San Pietroburgo dove inizio un periodo di volontariato, per lo più presso l’Istituto di Oncologia Petrov di Pesochny. E durante quelle giornate faccio alcuni scatti.

Le foto ritraggono bambini, quei bambini che sono diventati, repentinamente, uomini e donne.

La malattia li ha fatti diventare “adulti” in corpi da bambini. La malattia gli ha fatto perdere, forse per sempre,la connotazione di mezzo, della loro fanciullezza.

Ed ecco il perché della mia scelta dell’uso del bianco e nero e l’uso del contrasto elevato nella riproduzione delle foto. I bianchi ed i neri saturi, quasi “bruciati”, amplificano ancora di più il dramma di quella condizione.

Evidenziano ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la condizione di uomini e donne in corpi di bambini.

 

Vita di strada
Nel 2016 e nel 2017 ho fatto due viaggi in asia di circa 6 mesi ciascuno.

​Durante il primo viaggio, special modo nelle Filippine, dedico parte del mio tempo ai bambini che vivono per strada, vicino a baraccopoli di legno e lamiera lungo la periferia sud di Cebù. Vicino al porto. Dove l’umidità maggiore dell’80%, unita ai 35 gradi, rende l’aria irrespirabile.

E la pesantezza dell’aria viene ancor di più amplificata dai fetori, acri e pungenti, ai limiti della malattia, che salgono da quelle strade esseri umani e animali convivono. Dove non esistono fognature o gabinetti.

E in mezzo a tutto ciò ci sono anche e soprattutto loro: bambini di ogni età che vivono li. Giorno dopo giorno. Mese dopo mese. Ed anche in questo caso, la loro fanciullezza viene rubata da una condizione di vita inimmaginabile per buona parte di noi. Le strade sono popolate da moltitudini di bambini sporchi, scalzi, mal vestiti o semi nudi. Bambini che non hanno neanche il comfort di un bagno dove lavarsi.

Mi vengono incontro sorridendo, ridendo. Mi guardano, ora perplessi e sorpresi, ora spaventati e intimoriti, ora gioiosi e spavaldi. Mi guardano. Allungano le mani per chiedermi una moneta o del cibo.

O mi mostrano il dito medio in segno di sfida perché sto invadendo il loro “territorio”, perché sono un estraneo e un diverso. Perchè io sono un fortunato.

Nel secondo viaggio in Asia, spendo molto del mio tempio in India, Cambogia, Laos e Vietnam. In quest’ultimo paese, visito, tra l’altro, il nord, più specificamente il territorio di SaPa e Lao Cai dove esistono otto gruppi di minoranze etniche che vivono sparse in un territorio relativamente grande che fa capo a SaPa.

Ogni giorno, dai diversi distretti montani, gruppi di queste persone si recano a SaPa per vendere i loro prodotti e per comprarne altri. Spesso si muovono con i bambini avvolti in fasce e portati a spalla.

O che, anch’essi, malgrado la giovane età, camminano accanto ai genitori o accudiscono il bestiame.

Bellezze ancora pure e struggenti nelle loro semplicità. E nei loro abiti per lo più molto colorati.

Ma anche in questo caso, la loro fanciullezza, deve fare i conti con l’estrema povertà e la necessità di apportare anche il loro contributo per il mantenimento delle famiglie.

Anche in questo caso, uomini e donne in corpi di bambini.

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